I significati del termine Psicosomatico
Il vocabolo psicosomatico fu coniato nel 1818 dal medico psicologo J.C. Heinroth, che aspirò a raggruppare in un unico pensiero la dualità mente-corpo. Quattro anni dopo, nel 1822, il medico K.W. Jacobi propose il termine somato-psichico per sottolineare l’influenza delle esperienze corporee sull’unità psichica. In entrambi i casi si avvertiva l’esigenza di riunire in un’unica essenza i concetti di psiche e soma, che per lunghi anni erano stati considerati separati. Con il tempo la parola «psicosomatico» è stata utilizzata nei contesti più disparati, così da divenire emissario di concetti come quello di «stress[i]» o di «qualità di vita», che troppo spesso sono stati utilizzati in modo superficiale rischiando di eluderne il significato scientifico. Per tanto, è di fondamentale importanza, chiarire almeno alcuni dei significati che il termine assume quando viene utilizzato in contesti definiti di carattere clinico o di ricerca. Quando in passato si parlava di psicosomatica ci si riferiva ad essa solo in relazione a quelle malattie organiche la cui causa era rimasta oscura e per le quali si pensava potesse esistere una “genesi psicologica”. Oggi è largamente condivisa l’accezione di psicosomatica come scienza che pone in relazione la mente con il corpo, ossia il mondo emozionale ed affettivo con il soma, occupandosi nello specifico di rilevare e capire l’influenza che l’emozione esercita sul corpo e le sue affezioni. Pertanto, corpo e mente non sono più considerati come due componenti separate ma due parti, in continua influenza reciproca, di un tutt’uno: l’uomo nella sua unità somato-psichico. In ambito medico è ormai largamente condivisa l’idea che il benessere fisico abbia una sua influenza su sentimenti ed emozioni e che a loro volta questi ultimi abbiano una certa ripercussione sul corpo. Non a caso il vecchio concetto di malattia intesa come “effetto di una causa”, è stato sostituito con una visione multifattoriale secondo la quale ogni evento (e quindi anche una affezione organica) è conseguente all’intrecciarsi di molti fattori, tra i quali sta assumendo sempre maggior importanza il fattore psicologico. Si ipotizza inoltre, che quest’ultimo, a seconda della sua natura, possa agire favorendo l’insorgere di una malattia, o al contrario favorendone la guarigione. E’ possibile distinguere malattie per le quali i fattori biologici, tossico-infettivi, traumatici o genetici hanno un ruolo preponderante e malattie per le quali i fattori psico-sociali, sotto forma di emozioni e di conflitti attuali o remoti, sono determinanti. In questo senso l’unità psicosomatica dell’uomo non viene persa di vista e i sintomi o i fenomeni patologici vengono indagati in modo complementare da un punto di vista psicologico e fisiologico. Si parla di psicosomatica non solo come prospettiva con la quale guardare l’evento patologico, ma anche in relazione a sintomi somatici fortemente connessi alle emozioni e in relazione alle cosiddette vere e proprie malattie psicosomatiche. Per quanto riguarda i sintomi psicosomatici, essi, pur non espletandosi in vere e proprie malattie, si esprimono attraverso il corpo, coinvolgono il sistema nervoso autonomo e forniscono una risposta vegetativa a situazioni di disagio psichico o di stress. Al contrario, sono considerate vere e proprie malattie psicosomatiche quelle alla quali classicamente si riconosce una genesi psicologica (o quantomeno in buona parte psicologica) ed in cui si realizza un vero e proprio stato di malattia d’organo con segni indiscutibili di lesioni. Quali sono i disturbi e le malattie psicosomatiche? La varietà dei modelli interpretativi consente solo in modo approssimativo di elencare e classificare le malattie e i disturbi psicosomatici. In ogni caso le malattie che storicamente sono state sempre interpretate come psicosomatiche sono l’ipertensione arteriosa, l’asma bronchiale, la colite ulcerosa, l’ulcera gastro-duodenale e l’eczema. Negli ultimi anni questo elenco si è andato via via infoltendo fino a comprendere: i disturbi alimentari che si evidenziano intorno ai due eccessi rappresentati dall’anoressia e dalla bulimia con conseguente obesità; le malattie e i sintomi psicosomatici a carico del sistema gastrointestinale dove tra le malattie organizzate c’è, oltre alla colite ulcerosa e all’ulcera gastro-duodenale, la rettocolite emorragica, mentre tra i disturbi psicosomatici sono presenti la gastrite cronica, l’iperacidità gastrica, il colon irritabile o spastico, la stipsi, la nausea e il vomito, la diarrea (da emozione, da “esami”); malattie a carico del sistema cardiovascolare ad esempio le aritmie, le crisi tachicardiache, le coronopatie (angina pectoris, insufficienza coronarica, infarto) l’ipertensione arteriosa essenziale, la cefalea emicranica, la nevrosi cardiaca; malattie relative al sistema cutaneo ad esempio la psoriasi, l’eritema pudico (rossore da emozione), l’acne, la dermatite atopica, il prurito, la neurodermatosi, l’iperidriosi, l’orticaria, la canizie, la secchezza della cute e delle mucose, la sudorazione profusa; malattie relative al sistema muscolo scheletrico (crampi muscolari, torcicolli, cefalee), malattie relative al sistema genitourinario ad esempio dolori mestruali, disturbi minzionali, enuresi, impotenza e malattie e i sintomi psicosomatici relativi al sistema endocrino ad esempio, iper o ipotiroidismo, ipoglicemia, diabete mellito. In conclusione si può affermare che le malattie somatiche sono quelle che più strettamente realizzano uno dei meccanismi difensivi più arcaici con cui si attua una espressione diretta del disagio psichico attraverso il corpo. In queste malattie l’ansia, la sofferenza, le emozioni troppo dolorose per poter essere vissute e sentite, trovano una via di scarico immediata nel soma (il disturbo); non sono presenti espressioni simboliche capaci di razionalizzare il disagio psicologico e le emozioni, pur essendo presenti, non vengono percepite. In genere il paziente psicosomatico si presenta con un buon adattamento alla realtà, con un pensiero sempre ricco di fatti e di cose e povero in emozioni. Per meglio chiarire si tratta di un paziente che difficilmente riferisce sentimenti quali rabbia, paura, delusione, scontentezza, insoddisfazione. Spesso si tratta di pazienti che hanno difficoltà a far venire alla luce emozioni, che separano dalle cose ogni elemento di fantasia. Tutte le loro capacità difensive tendono a tener lontani contenuti psichici inaccettabili, a costo di distruggere il proprio corpo. In questo senso una persona, incapace di accedere al suo mondo emotivo, potrebbe non percepire rabbia, frustrazione o stress per una difficile condizione lavorativa e neppure immaginare una possibile connessione tra la sua “ulcera” e le emozioni o i vissuti relativi al suo lavoro. Anche se tali caratteristiche non sono sempre presenti in assoluto in quelli che presentano una patologia psicosomatica, sembra che comunque permanga, sempre, in queste persone una parte dell’io che tende a funzionare in questo modo.
Psicosomatica secondo una prospettiva sistemica
Prima di addentrarci nello specifico della trattazione sulla psicosomatica, per comprendere e contestualizzare concetti ricchi di significato, dobbiamo analizzare, in una visione di insieme, l’approccio sistemico. La teoria dei sistemi si sviluppa nella metà degli anni ’50, in seguito agli studi di ricercatori come Batterson, Watzlawick, Jacksone e Harley. In questi anni il modello meccanicistico di causalità lineare viene superato dal modello di causalità circolare. Nel primo il rapporto tra causa ed effetto è inteso in senso lineare. Un esempio di questo tipo lo si trova nel modo in cui la medicina ha concepito l’origine di molte malattie. Un organismo estraneo (virus o batterio) penetra nel corpo umano provocando un’alterazione dei tessuti (l’infezione) che danneggia gli organi determinando una malattia. Secondo questa logica, la malattia può essere curata solamente risalendo alla causa ed eliminandola. Concepire gli eventi secondo una linearità di causa-effetto ha concesso alla medicina di progredire nello studio e nella cura di molte malattie, ma allo stesso tempo ha comportato una eccessiva semplificazione eludendo gli aspetti emotivi e relazionali dell’uomo. Durante il Novecento si è tentato di superare i limiti della visione lineare arrivando a concepire il processo casuale in senso multifattoriale. Secondo questa visione molti fattori vengono considerati le concause di un unico evento. Così, riprendendo l’esempio precedente, uno specifico agente infettivo può concorrere allo sviluppo della malattia, assieme ad altri di natura ereditaria, psicologica, sociale e ambientale. Il modello in questione impedisce una visione unitaria del problema, in quanto comporta una importante scissione di cause e concause. Verso la metà dello stesso Secolo le idee sul concetto di causa hanno fatto un notevole passo in avanti grazie al contributo di nuove teorie, come quelle sistemiche e cibernetiche le quali condividono una visione circolare del rapporto di causalità. Secondo Ludwig von Bertalanffy, che propose la Teoria Generale dei Sistemi, un sistema può essere definito come una totalità organizzata e finalizzata, che supera il vecchio principio meccanicistico fondato sul “caso” e tende attraverso meccanismi di autoregolazione all’omeostasi e alla ricerca di un nuovo equilibrio, capace di aprire verso livelli di crescita sempre migliori e verso un ordine sempre più articolato. Seguendo questa prospettiva tutte le situazioni, comprese quelle umane possono essere considerate dei sistemi i cui componenti si determinano l’un l’altro senza che alcuno di essi assuma il ruolo di causa o di effetto. Così, un elemento influenza gli altri, ma è altrettanto influenzato da essi, contribuendo all’equilibrio dell’intero sistema. La causalità non è una caratteristica dei singoli componenti, ma è insita nella relazione che si stabilisce all’interno del sistema. Tale processo lo si può immaginare come un cerchio dove i vari elementi sono in rapporto tra loro. Non interessa più scoprire una catena di cause ed effetti per arrivare all’origine degli eventi, ma studiare l’organizzazione e l’equilibrio di un sistema in una determinata situazione. Nel caso della malattia l’importante è scoprire i vari fattori che interagendo tra loro provocano sofferenza e disadattamento. Legato al concetto di causalità circolare è quello di retroazione o feedback. Mediante la retroazione un evento non solo genera altri eventi, ma è anche regolato da essi in modo retroattivo. La retroazione può essere positiva o negativa in base al cambiamento e alla trasformazione dell’equilibrio all’interno della relazione fra le parti.
Conflitti Psicologici
Secondo alcune scuole di pensiero lo svilupparsi del disagio psicosomatico è da imputare a conflitti ideo-affettivi profondi, a volte di natura molto remota. La malattia, dunque, non sarebbe altro che la “somatizzazione” di conflitti[ii] non risolti. Essa si sviluppa lentamente e si manifesta sotto la pressione di un evento-stimolo, quale una grossa frustrazione, un dolore affettivo, oppure come frutto delle pressioni dell’ambiente in cui l’individuo vive. L’espressione del sintomo, sarebbe dovuta, secondo alcuni ricercatori, al meccanismo della regressione a forme di espressione tipiche di fasi precoci dello sviluppo. Infatti il bambino in età preverbale manifesta le sue emozioni esclusivamente attraverso il corpo: il bambino affamato piange, quello gratificato e appagato sorride. Nella fase evolutiva successiva, quella verbale, il bambino impara ad “esprimere” le sue emozioni. Così, mentre la “somatizzazione” riproporrebbe l’espressione del primo stadio evolutivo infantile (preverbale, quella in cui l’ansia si esprime a livello somatico), la nevrosi invece riproporrebbe l’espressione più avanzata del secondo stadio (verbale). Nella persona che somatizza, ansia, sofferenza, emozioni particolarmente forti o dolorose, trovano una via di scarico immediata nel corpo (il disturbo), per poter essere percepite. In genere l’individuo con disagi psicosomatici si presenta con un buon adattamento alla realtà, con un pensiero ricco di fatti e di cose ma povero di emozioni (Alessitimia). Molto spesso si tratta di un soggetto che ha difficoltà ad accedere al proprio vissuto emotivo, e perciò gli riesce difficoltoso percepire rabbia, frustrazione, stress, e quindi può non riuscire ad immaginare una possibile connessione tra il suo disagio corporeo e le emozioni o i vissuti relativi al suo lavoro o ad altre circostanze esistenziali. Nell’insorgere della “somatizzazione”, è determinante l’ambiente in cui l’individuo vive: ambienti ansiogeni, aggressivi, competitivi o repressivi, sottopongono l’individuo ad uno stress continuo, determinando l’humus patologico che nutre la problematica psicologica personale sino a farla esplodere nella “somatizzazione”. La somatizzazione si struttura sostanzialmente in quattro fasi: all’inizio c’è un disagio psicologico, poi un blocco funzionale, segue una alterazione cellulare e infine la lesione anatomica. Nella “somatizzazione” il sintomo può a volte manifestare in forma simbolica il tipo di disturbo che esprime; ad esempio l’astenia può simboleggiare il dispendio di energie ad opera di un conflitto che lascia poche forze all’individuo; il vomito può indicare il rifiuto di una situazione inaccettabile; il prurito può rappresentare una forma di autoaggressività dovuta a sensi di colpa, ecc.
Specificità della malattia rispetto alla personalità
La Dunbar (1943) intendeva la specificità della malattia soprattutto rispetto alla personalità. Lavorando su una vasta mole di interviste anamnestiche ed attraverso l’uso della diagnostica psicodinamica, essa affermava di aver individuato delle significative correlazioni tra malattie e profili di personalità: tutti i pazienti affetti, per esempio, da ipertensione hanno caratteristiche di personalità simili. Secondo la Dunbar, dunque, esisteva una sorta di cliché caratteriale per ogni malattia psicosomatica. Il soggetto sofferente alle coronarie, ad esempio, era una persona che lavorava e lottava con fermezza, che aveva grande autocontrollo e tendeva al successo e al pieno raggiungimento degli scopi prefissi. Mentre il malato di ulcera peptica era un tipo iperattivo ed eccessivamente intraprendente. Le teorie della Dunbar venivano criticate da più parti. Sul versante psicoanalitico esse erano accusate di superficialità, di valutare soltanto gli aspetti del comportamento osservabili a livello esteriore, ovvero di non cercare ed analizzare il materiale inconscio da cui, secondo la prospettiva psicodinamica, traggono origine le azioni umane. Per gli esponenti dell’approccio psicofisiologico invece, la Dunbar non aveva offerto una spiegazione della correlazione tra malattie psicosomatiche e tratti di personalità e non aveva dato nessuna indicazione su come questi ultimi possono dare inizio al disturbo e mantenerlo. Le idee della Dunbar tuttavia hanno avuto larga diffusione nella letteratura psicosomatica successiva. Esse sono rintracciabili nelle teorizzazioni di Friedman e Rosenman sulle associazioni tra disturbi e tipi di personalità, che si sono imposte con forza nel dibattito medico sino alla fine degli anni ’80. Allo stesso modo l’influenza della Dunbar è evidente nelle opere di Claus Bahnson sulle correlazioni tra personalità e cancro.
Specificità della malattia in corrispondenza delle emozioni
Franz Alexander era convinto che le correlazioni tra personalità e malattie evidenziate dalla Dunbar avessero soltanto un valore statistico e che sostanzialmente erano “misteriose, vaghe e casuali”. Al contrario, egli riteneva che “una distinta correlazione fra certe costellazioni emotive e certe funzioni vegetative” fosse oggettivamente dimostrabile al pari degli equivalenti fisiologici delle emozioni. Questi ultimi, infatti, erano stati sperimentalmente definiti dalle ricerche di Cannon ed Hess e delineavano, con precisione, l’esistenza di due categorie principali dell’emozione: preparazione alla lotta o alla fuga in condizioni di emergenza, piacere ed acquiescenza. Queste due categorie corrispondevano alle due configurazioni fondamentali di attività vegetativa: l’attivazione del sistema nervoso simpatico in condizioni di allarme e l’azione del sistema nervoso parasimpatico verso la riparazione, l’accrescimento dell’organismo e il ripristino metabolico delle sue energie. Al contrario del simpatico, preposto alla mobilitazione delle risorse corporee dell’organismo in vista di condizioni di emergenza, il parasimpatico presiede al controllo delle funzioni vegetative dell’organismo, come la digestione, l’escrezione, come i meccanismi alla base dei comportamenti sessuali. I disturbi psicosomatici, che Alexander definiva anche nevrosi vegetative, rappresenterebbero l’effetto della persistenza e della cronicizzazione dell’attivazione fisiologica tipica di una di queste due categorie emotive, dovuta ad uno specifico conflitto psichico che impedisce lo scarico delle emozioni in una azione esterna. Così, le patologie correlate alle emozioni legate alla lotta o alla fuga “sarebbero il risultato di inibizioni o di repressioni di impulsi ostili e di autoaffermazione”. Tali repressioni, infatti, impedendo l’estrinsecazione dei corrispondenti comportamenti di lotta o di fuga finiscono per indurre, con la cronicizzazione delle tipiche risposte vegetative di attivazione simpatica, l’alterazione delle funzioni di un organo dotato di fragilità costituzionale o acquisita. Ad esempio, alcune sindromi cardiache rappresenterebbero gli effetti dell’ansietà neurotica o della repressione della collera; mentre l’ipertensione essenziale, sarebbe il risultato di un incremento della pressione sanguigna mantenuto dall’attivazione del simpatico tipica delle emozioni di rabbia; allo stesso modo l’attivazione e il blocco dei sistemi neuro-endocrini legati alla lotta e alla fuga porta all’emicrania e l’ipertiroidismo, all’artrite reumatoide.
Le affezioni psicosomatiche dipendenti dal blocco delle emozioni connesse alle attività trofiche e riparative del parasimpatico erano, secondo Alexander, tutti i disturbi funzionali gastroenterici, l’asma, l’affaticamente cronico. Essi costituirebbero, infatti, l’esito di un fenomeno psicologico e quindi vegetativo di “ritirata” dall’azione e di disimpegno dall’adattamento ad un ambiente ostile. Per esempio, un individuo ansioso ed insicuro, sempre pronto a recedere dalla lotta e dai possibili pericoli, poteva mettere in atto, secondo Alexander, risposte viscerali paradossali, come la secrezione dei succhi gastrici, che si accompagnano a situazioni di sicurezza e di dipendenza, come l’alimentazione quando si è bambini. Reiterando tale atteggiamento e tale risposta fisiologica, il soggetto in questione, finirebbe per sviluppare un’ulcera peptica o la colite.
Il modello di Alexander presentava tuttavia alcune serie debolezze. In primo luogo i disturbi psicosomatici che egli pretese di descrivere, come l’emicrania, l’ipertensione, l’ipertiroidismo, l’artrite, la colite, l’asma avevano in realtà una natura eterogenea erano in effetti sindromi, piuttosto che entità nosologiche univoche. In questo senso cade l’idea stessa di specificità dei legami tra conflitti emotivi e disturbi somatici. In secondo luogo, l’ipotesi della specificità dei conflitti implica logicamente l’idea che possa sussistere una netta differenza tra i blocchi emotivi che innescano una patologia e quelli che la mantengono. Se vogliamo adottare la prospettiva di Alexander, è evidente che quando la malattia si manifesta l’individuo viene trasformato sia in senso fisiologico che psicologico.
Alexander credeva, inoltre, che i blocchi emotivi potessero innescare la malattia soltanto in presenza di una costituzionale vulnerabilità d’organo e di una situazione esterna scatenante. Egli aderiva così ad una concezione multifattoriale della malattia psicosomatica. Ciò era comunque in contrasto con l’idea forte della specifità dei conflitti per i disturbi psicosomatici. Quest’ultima, in Alexander e nella tradizione psicosomatica di quel periodo, si legava oltretutto alla rivendicazione di una identità particolare della patologia ex emotione che legittimava la stessa esistenza della medicina psicosomatica. Da un lato infatti in un modello multicausale della malattia, la specificità del conflitto viene a diluirsi e a smarrirsi tra le molte cause necessarie ma non sufficienti per provocare la condizione morbosa. Dall’altro la teoria della multifattorialità della malattia, peraltro avanzata con forza da molti psicosomatisti, contiene logicamente, finendo per annullarla, l’identità stessa della medicina psicosomatica, quest’ultima fondamentalmente radicata sull’idea dell’esistenza di malattie prodotte da cause psicologiche.
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[i] Il concetto di stess è molto complesso. Una definizione più attuale indica lo stress umano e animale come uno «stato di tensione dell’organismo in cui vengono attivate difese per far fronte a una situazione di minaccia». Esso infatti può essere utilizzato come sinonimo di uno stimolo ambientale nocivo, ma anche la risposta dell’organismo a sollecitazioni diverse, sia di natura esterna che interna. Si parla anche di stess positivo (eustess) quando comporta esperienze appaganti e maturative, o di stess negativo (distess) quando è fonte di difficoltà e sofferenze. E’ possibile suddividere gli eventi stressanti in due grandi categorie: eventi improvvisi, ben identificabili e limitati nel tempo, che comportano di solito conseguenze importanti per l’indivisuo(matrimoni, lutti, diventare genitori, separazioni, licenziamenti etc); ed eventi che riguardano le difficoltà incontrate nella vita di ogni giorno (nella famiglia, sul lavoro, nei rapporti sociali). Questo tipo di stess, definito anche stess quotidiano, è difficile da riconoscere e spesso sottovalutato. Secondo Harrè, Lamb, e Mecacci (1983) ci sono almeno tre modi per affrontare lo studio e la definizione di stess. Il primo è quello di trattare il termine secondo la sua accezione di nocività ambientale: lo stess provocato da uno stimolo fisico eccessivo; un secondo tipo, che ha origine dalle ipotesi di Selye (1974), si riferisce al suo carattere bio-fisiologico (mediatore ormonale o nervoso). L’ultimo approccio che i tre studiosi riportano è maggiormente centrato sulla relazione dinamica dell’individuo con il suo ambiente, così come percepito ed elaborato dal soggetto stesso. Tale modello si definisce in termini di “processo” e fa capo agli studi di Lazarus (1976). Il primo studioso ad essersi occupato di stess dal punto di vista psicosomatico è stato Cannon, che aveva descritto come “risposta di allarme” un insieme di reazioni che predispongono l’organismo a comportamenti di attacco e fuga. Scoprì inoltre che non erano le uniche prodotte, bensì rappresentavano il primo di una serie di adattamenti e modificazioni fisiologici messe in atto per fronteggiare difficoltà provenienti dall’esterno. Cannon fu il primo anche a coniare il termine omeostasi per designare l’equilibrio interno dell’organismo. Per ulteriori approfondimenti Cfr. Marocci G., “Abitare l’organizzazione”, Edizioni Psicologia, Roma, 1996 [ii] “Il Conflitto è dato da una situazione in cui forze di valore approssimativamente uguali ma dirette in senso opposto agiscono simultaneamente sull’individuo” (Lewin).
Ogni situazione conflittuale è teoricamente riportabile alla coesistenza di tendenze verso due differenti forme di comportamento. Il conflitto può essere: Conflitto tra due tendenza appetitive ; Conflitto tra una tendenza appetitiva e una avversativa verso lo stesso oggetto; Conflitto tra due tendenza avversative; Conflitto composto da più tendenze appetitive ed avversative; I Conflitti possono scaturire da diverse cause, possono essere conflitti di ruolo, conflitti personali, sociali, etc., ma alla base di tutti si muovono due forze contrarie. Certo è che il conflitto si riduce in relazione alla motivazione e all’associazione del rinforzo positivo che ha verso uno stimolo. Ma talvolta il conflitto è anche causa turbe sia generali sul comportamento che manifestazioni viscerali psicosomatiche. A proposito del conflitto dobbiamo citare la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger e notare come si può ridurre o annullare un conflitto o un comportamento dissonante mediante l’acquisizione di più informazioni sull’elemento dissonante, la modifica di un elemento cognitivo relativo all’ambiente fisico o quello psicologico, il cambiamento di uno degli elementi cognitivi direttamente riferiti al comportamento. Per ulteriori approfondimenti Cfr. Canestrari R., Godino A., “Trattato di pscologia”, CLUEB, Bologna, 2002. Cfr. Trentin R. “Gli atteggiamenti sociali”, Bollati Boringhieri, Torino, 2002.
3. La famiglia psicosomatica