Il mondo del lavoro è stato segnato da profondi cambiamenti sia dal punto di vista economico, che dal punto di vista socio-culturale.
Si è passati da un paradigma focalizzato sul “posto fisso” e sulla stabilità dei processi a un paradigma che lascia intravedere una vita con più professioni e una logica di apprendimento permanente.
La parola-chiave che segna la società attuale è “disoccupazione”. Si parla di disoccupazione utilizzando il sostantivo singolare e non ci accorgiamo che ci troviamo di fronte a un bias linguistico che ci fa dimenticare le diverse sfumature di questo fenomeno.
Abbiamo, infatti, diverse tipologie di disoccupazione, tra cui:
-La disoccupazione frizionale, una forma di disoccupazione che interessa le persone alla ricerca del primo impiego o che stanno cambiando lavoro. Deriva dall’asimmetria presente tra “chi cerca lavoro” e “cosa offre il mercato del lavoro”.
-La disoccupazione volontaria, riguarda le persone che non cercano lavoro per scelta personale, perché in attesa di un’occupazione perfettamente coerente con il profilo professionale.
-La disoccupazione involontaria, deriva dalla domanda insufficiente da parte delle imprese o dalla crisi del mercato del lavoro.
Tra i protagonisti della moderna disoccupazione emergono i “NEET”, giovani definiti spesso come “giovani della zona grigia”, sono sia giovani che vorrebbero un impiego ma non lo trovano, sia giovani che abbandonano la scuola senza trovare lavoro. Si tratta di un fenomeno complesso per la molteplicità di motivazioni che possono condurre le nuove generazioni verso questa “zona grigia”. I neet sono definiti anche come “giovani dal futuro sospeso o interrotto”, ma semplicemente perché non sono in grado di individuarlo o progettarlo.
Gli psicologi e gli esperti in politiche attive del lavoro devono supportare i neet e i giovani nell’individuazione e progettazione del loro futuro, al fine di condurli fuori dalla zona grigia e per far vedere loro la possibilità di configurare nuovi scenari possibili in cui loro sono i protagonisti e artefici della loro vita.
Abbattere i muri tra giovani e lavoro deve diventare la priorità dell’Agenda del nostro paese. Come? Sicuramente l’orientamento riveste un ruolo fondamentale, se caratterizzato da “buone” pratiche fondate scientificamente e non da “falsi miti”.
Orientare, infatti, non significa consigliare o suggerire, non significa partecipare semplicemente a fiere, mostre e saloni, ma l’orientamento “riguarda l’erogazione di aiuti finalizzati a supportare la persona nelle operazioni di raccolta, processazione ed uso delle informazioni di tipo formativo e professionale e nella pianificazione delle sue decisioni in merito puntando, nel limite del possibile, all’incremento delle abilità in tutto ciò implicate ” (Soresi, 2000). Dal punto di vista pratico, quindi, l’orientamento e gli interventi di progettazione professionale devono: instillare speranza, fiducia e ottimismo, favorire la prontezza e la career adaptability, incentivare l’apertura mentale e ridurre la propensione ad aderire a visioni stereotipate. Quest’ultimo aspetto merita una notevole attenzione nell’ambito dei processi di orientamento, in quanto aderire a visioni professionali stereotipate compromette le scelte scolastico-professionali degli adolescenti, scoraggiandoli ad intraprendere percorsi formativi semplicemente sulla base del genere sessuale.
Gli stereotipi professionali generano falsi miti e false credenze che portano a dipingere con il colore blu le professioni scientifiche e tecnologiche e con il colore rosa le professioni socio-educative. Una delle conseguenze dell’utilizzo di visioni stereotipate nell’ambito delle scelte professionali è la segregazione occupazionale “orizzontale”, cioè ancora oggi vediamo una presenza statisticamente diversa di donne e uomini in determinati settori professionali. Comprendere che le scelte non hanno colori è tra i primi passi per promuovere uguaglianza di genere nel mondo lavorativo e per non “tarpare le ali” alle persone di fronte alla progettazione del loro futuro personale e professionale.