Indicazioni per una metafora efficace
La metafora terapeutica, vista come esperienza narrativa, ha molto in comune con l’universo delle fiabe che ci raccontavano i nostri genitori. Fiabe, che ci hanno permesso attraverso il viaggio della mente, di affacciarci alla vita, conoscere il mondo e le dinamiche sociali. Ancora oggi, pur vivendo nel villaggio globale, la fiaba non ha perso la sua funzione, essa è un ottimo esempio di usare la metafora tanto come mezzo letterario, quanto come strumento terapeutico. Le storie sono raccontate con un linguaggio pittoresco, dove fantasia e realtà si fondono per contenere un significativo messaggio psicologico, ma non tutte le metafore sono terapeutiche. Pertanto, è fondamentale capire quali elementi separano la metafora terapeutica da quella letteraria.
L’unico elemento comune sia alla metafora letteraria, sia a quella terapeutica è la corrispondenza con colui che comunica. Quando la corrispondenza avviene nel lettore a vari livelli, allora le metafore letterarie si differenziano da quelle terapeutiche. Nella metafora letteraria la corrispondenza fra la stessa e il suo referente deve essere tanto stretta da evocare familiarità. E se la descrizione è la funzione principale della metafora letteraria, l’alterazione, la reinterpretazione e la ricomposizione sono le mete fondamentali della metafora terapeutica. Tali scopi possono essere conseguiti se la metafora terapeutica evoca sia la familiarità immaginistica della metafora letteraria, sia familiarità relazionale, basata su un senso di esperienza personale. La storia, che si racconta, deve conquistare coloro che ascoltano. In particolare, i bambini si mettono più facilmente in rapporto con ciò che è familiare. Pertanto i personaggi, gli ambienti e gli eventi devono parlare alla comune esperienza di vita di quanti ascoltano, e devono farlo utilizzando un linguaggio familiare. La funzione più importante della metafora terapeutica è quella che Rossi ha definito come “realtà fenomenologica condivisa” in cui è sperimentato dal bambino il mondo creato dalla metafora del terapeuta. In tal modo attraverso una relazione terapeuta – bambino – storia, il piccolo paziente sviluppa un senso di identificazione con i personaggi e gli eventi che vengono descritti. In questo senso di identificazione c’è il massimo potere della metafora. Il bambino non si sente isolato, al contrario percepisce un senso di esperienza condivisa. E, ancora una volta la metafora terapeutica sprigiona tutta la sua forza: punta al problema , ma se ne tiene alla larga; attiva capacità e risorse specifiche e lo fa in forma non minacciosa. Analizzando delle fiabe classiche, possiamo constatare elementi comuni, che ci permettono di creare la realtà fenomenologica condivisa mediante la quale la metafora terapeutica consegue il proprio scopo. Le fiabe classiche: – stabiliscono un tema generale di conflitto metaforico per quanto riguarda il protagonista; – personificano processi inconsci in forma di eroi o soccorritori (che rappresentano le capacità e le risorse del protagonista), e di malfattori o ostacoli (che rappresentano le paure e le convinzioni negative); – personificano situazioni di apprendimento parallelo nelle quali il protagonista ha avuto successo; – presentano una crisi metaforica in un contesto di ineluttabile soluzione, mediante la quale il protagonista supera e risolve il proprio problema;- danno al protagonista un nuovo senso di identificazione per effetto del suo vittorioso “viaggio dell’eroe”; – terminano nella celebrazione in cui avviene il riconoscimento del valore del protagonista.
La metafora della favola
La metafora terapeutica è uno strumento potente nel favorire nuove associazioni e nuove costruzioni di senso, utilizzando elementi di cognizioni e di esperienze, strutture cognitive o immagini, nozioni ed emozioni, fantasia e memoria. La sua capacità di contaminazione, di fusione e di ricostruzione di domini di senso, la sua capacità di rendere permeabili le barriere cognitive ed affettive al cambiamento, la fluidità e la elasticità nella ideazione e nei confronti, la leggerezza e la lievità ne fanno un potente strumento terapeutico. La favola in quanto gioco metaforico, contiene e svela, in contemporanea, tutto ciò che non può essere detto altrimenti, e pone un limite, un velo e un veto a ciò che non può essere totalmente svelato, in quanto esso fa parte, di una dimensione interiore, vissuta talvolta come una profondità. Talvolta, guardare all´intimità del piccolo paziente viene vissuto specularmente come un proprio abisso in movimento, come presenza vertiginosa di ciò che è inafferrabile nelle proprie radici. La favola, quindi, è intesa da come gioco fra personaggi e istanze che fanno parte di ogni persona Così, da potere considerare il mondo interno nello stesso tempo segreto e pubblico. La magia delle favole va riconosciuta nella grande capacità di ancorarsi a contenuti profondi, lavorare sulle emozioni senza che il piccolo “si faccia male”. A conferma di quanto detto, il pensiero di Freud, che in un saggio del 1907 parla di vera “ars” poetica, come particolare e segreta dimensione inconscia, con la quale il poeta o
l´artista supera ogni ripugnanza, ogni dolore, ogni barriera sia del suo mondo interno sia nella sua relazione col mondo esterno. Il gioco metaforico nonché l´arte nascono quindi come pellicola invisibile che permette di proteggere le parti recuperate senza il rischio di distruggerle, nel momento assai delicato del recupero a coscienza. Freud chiama “sensazioni e sentimenti” queste “percezioni” che attraverso il sentire del corpo provengono dall´interno e muovono affettività ed emozione. Il mondo delle favole, quindi, come luogo metaforico di incontro tra le percezioni sensoriali esterne e sentimenti, affetti e sensazioni interne. La metafora della favola è vissuta come luogo e strumento di comunicazione , di “co-divisione”, luogo di apertura, nel quale ognuno esiste e apprende dalla sua angolatura personale ed esperienziale. E’ dunque in quest’ottica interpretativa, la fiaba va intesa come specchio della vita, come metafora delle emozioni e dei sentimenti fondamentali di ogni uomo, mediata dal meraviglioso. Il bambino impara a gestire le sue emozioni attraverso le storie che ascolta. E le fiabe non narrano di dolci coniglietti o di incoscienti fanciulli dai boccoli biondi, ma affrontano situazioni ben più inquietanti: orfani, matrigne, mostri, lupi, giganti, re e regine malvagie. Il bene e il male si intrecciano, e si scontrano in una serie di avvenimenti in cui il magico e il meraviglioso rendono tutto possibile. La fiaba come metafora terapeutica, riprende le strutture narrative classiche per costruire nuovi conflitti e utilizzarli come metodo di analisi a distanza. Il piccolo paziente, distaccato dai suoi fatti personali, prende consapevolezza di alcune dinamiche comportamentali in maniera meno brutale. L’atmosfera delle fiabe è fatta di un mondo senza tempo e di uno spazio non identificabile, dove tutto può anche andare al contrario e soprattutto dove i personaggi non sono unici, ma tipici. Categorie fantastiche di cattivi, buoni e coraggiosi eroi. Ripercorriamo per esempio la fiaba dei piccoli, per eccellenza: Cappuccetto Rosso. Il lupo, il cattivo, mente spudoratamente ed esageratamente alla bambina fingendosi la vecchia nonna, rispondendo a quelle ingenue domande. Questa fiaba ci fa sorridere, perché la semplificazione è agli estremi, ma dobbiamo ammettere che la simbolizzazione è chiarissima. Come spiega Bettelheim [1], in queste fiabe il bene vince sul male e il bambino si identifica con l’eroe buono, che esercita una forte attrattiva su di lui. La domanda che si pone il bimbo non è “Voglio essere buono? “ ma “ Come chi voglio essere?”.
Esiste però una fiaba riportata da Grimm, in cui la giustizia non trionfa. Si tratta di Gatto e il topo in società.: qui il gatto ha più volte il sopravvento sul topo e alla fine il topo viene mangiato. Il male qualche volta vince: la catena di bugie che il gatto inventa a spese del suo socio, è esponenziale e non può che concludersi con la morte di quest’ultimo. Il gatto di questa fiaba dunque diventa un esempio perfetto per far conoscere ai bambini lettori anche l’aspetto indisciplinato della loro persona, in modo che imparino a “dimensionarlo”. Chi di noi non ha mai detto bugie? Chi di noi non si sente un po’ gatto? Questo è il messaggio che passa dalla fiaba. Ci sono fiabe definite di iniziazione, che hanno una trama che trae origine da una bugia. La più esemplare è la fiaba di Hansel e Gretel, che racconta di questi due sfortunati fratelli ai quali il padre, costretto dalla miseria, mente senza cuore. Egli promette di andarli a riprendere nel bosco, all’imbrunire, per ben due volte. I bambini però sanno che verranno abbandonati e trovano il modo di tornare da soli verso casa. Solo il terzo tentativo di abbandonare i bambini nel bosco avrà successo e sarà allora che Hansel e Gretel troveranno la casetta di pan di zucchero. Inizieranno cioè a cavarsela da soli, si avventureranno nella vita. Faranno tesoro delle avversità vissute in precedenza, infatti essi stessi mentiranno alla strega: Hansel porgerà un ossicino dalla gabbia, invece del dito grassottello e Gretel fingerà di non saper aprire il forno da sola, per poterci spingere dentro la strega. I bambini imparano a difendersi, diventano in qualche misura adulti. La storia poi ha un secondo finale, infatti anche la famiglia, come valore irrinunciabile, viene recuperata. I fratelli, una volta eliminata la strega, si appropriano del suo tesoro e trovano la strada di casa, dove c’è il padre, che,consumato dal rimorso per averli abbandonati, ritroverà a sua volta il gusto di vivere. Una fiaba ricca di dettagli che fanno parte dell’universo bambino e umano e nella quale le bugie hanno un ruolo fondamentale: aiutano a crescere. Nella semplice fiaba del principe ranocchio, la bugia aiuterà a crescere la co-protagonista: quella capricciosa principessa che, pur di riavere indietro la palla caduta nel lago, mente al piccolo ranocchio, promettendogli la sua amicizia. Più avanti, quando alla principessa viene chiesto di tener fede alla promessa fatta, il re, il padre giusto, si intromette e la pone di fronte a un muro insuperabile. Non è possibile venir meno a una promessa. La principessa quindi, suo malgrado accetta il ranocchio in casa. Comprende di aver commesso una scorrettezza e viene poi ricompensata attraverso la trasformazione del ranocchio in principe. Quella prima bugia di bambina viziata la porta ad essere moglie felice.
Nella divertentissima fiaba di Andersen, i vestiti nuovi dell’imperatore vediamo la celebrazione totale della falsità. Tutti i protagonisti, molto meschinamente, mentono a sé stessi e agli altri. Nessuno ha il coraggio di dire la verità: tutti seguono l’inganno dei sarti impostori che dicono di aver confezionato abiti con tessuti preziosi. La catena di falsità porta il vanitosissimo imperatore a sfilare nudo in portantina. La catena viene spezzata dall’innocenza di un bambino che osservando la parata esclama: -Ma non ha niente indosso! – la folla lo segue in un mare di risate, ma a quel punto il vanitoso governante ha già compreso le sue colpe e dimostra di aver imparato la lezione:
-Ora devo guidare questo corteo fino in fondo! – E si drizza ancor più fiero. E’ diventato adulto e degno del suo ruolo. Nel mondo del tutto-possibile sono tante le riflessioni che possiamo costruire, ma uno solo il pensiero finale: la fiaba, nella sua semplicità, ha un potere profondo, stimola, fa sorridere al tempo stesso, smuove emozioni senza mai toccarle direttamente, permette di sviluppare abilità di problem solving, porta al cambiamento e lo fa mantenendo la giusta “distanza di sicurezza”.
Metafore Artistiche: disegni, dipinti, sculture, giocare e costruire
Quando parliamo di metafore oltre alla loro utilizzazione in forma narrativa per integrare i sistemi sensoriali e provocare dei cambiamenti a livello inconscio, si deve riconoscere un’altra applicazione terapeutica: la metafora artistica. La metafora artistica, peraltro molto adeguata nella terapia con bambini, utilizza strategie di disegno, di gioco , di lettura, di drammatizzazione e creazione in genere, affinché al piccolo paziente si possa trasmettere un’altra dimensione dell’esperienza terapeutica. Tanto il racconto metaforico, quanto la metafora artistica hanno il loro punto cardine nell’integrazione degli emisferi cerebrali destro e sinistro, a livello cosciente e inconscio, tramite gli approcci plurisensoriali. La metafora artistica è pluridimensionale e tridimensionale, in quanto comporta l’uso di oggetti nello spazio. Ciò rende più semplice l’espansione del termine metaforico, in termini tangibili e fisici. In questo modo la mente inconscia del piccolo paziente può esprimere e risolvere il problema del piccolo e lo fa tramite una rappresentazione cosciente. Il bambino attinge ad una banca interiore di creatività dove recupera immagini e sentimenti inconsci che traduce con colori e forme, e li condivide con il terapeuta. L’uso del disegno come strumento di terapia, tanto negli adulti quanto nei bambini, sta diventando molto più comune. La rappresentazione grafica fornisce informazioni preziose sulla funzionalità sensoriale del bambino. Talvolta il modo di disegnare può perfino scaturire un quadro esplicito del sistema sensoriale fuori coscienza. Pertanto, è molto importante suscitare esperienze preferite e osservare i segnali minimi allo scopo di ottenere informazioni per la creazione della metafora terapeutica. Il disegno delle risorse interiori oltre ad essere veicolo di guarigione è un’altra importante fonte di informazione. Infatti, è considerato mezzo di raffigurazione della dinamica personale e familiare per ottenere insight, analisi e maggiore comprensione. L’uso che si fa del disegno delle risorse interiori, mira non solo a illuminare la storia della dinamica familiare e interpersonale del passato, ma media gli elementi terapeutici in atto determinanti e il bambino in trattamento. Il disegno è un intervento terapeutico a più finalità: aiuta il terapeuta ad individuare il sistema sensoriale fuori coscienza del bambino; può provocare esperienza di catarsi e sfogo emotivo; può operare per le famiglie come sistema di retroazione, contribuendo a chiarire il punto i vista di ciascun membro sulle soluzioni; per il bambino è un sistema di retroazione immediata che concretizza quelle che possono essere le soluzioni e le risorse. Al terapeuta il disegno fornisce una serie di risorse e strutture di fondo che possono essere inserite nelle metafore narrative. Inoltre il disegno è per il terapeuta un sistema di comunicazione molto familiare al bambino, il quale non sentendosi giudicato comunica liberamente e con la semplicità tipica dei piccoli pazienti. Un altro strumento metaforico escogitato per aiutare i bambini ad affrontare i dolori fisici è “il libro del dolore che va meglio”. Questo strumento ha lo scopo di fornire un mezzo artistico mediante il quale si possano, tanto oggettivare le sensazioni dolorose, quanto accedere a risorse interiori inutilizzate. Gli aspetti visivi e cenestesici del disegno vengono messi a fuoco in una forma che promuove un maggiore benessere tramite la dissociazione che avviene naturalmente per effetto del processo figurativo del disegno. Ricerche, fatte da Bander, Erickson e Rossi, sulla comunicazione mente e corpo, hanno rivelato che la dissociazione è il centro di controllo del dolore e può anche alterare l’effettiva fisiologia del dolore stesso, per i suoi effetti positivi sul sistema endorfinico del bambino. Va sottolineato che “il libro del dolore” è destinato a essere impiegato come approccio terapeutico aggiuntivo alla diagnosi e al trattamento medico.
Oltre alle strategie dei disegni delle risorse interne, che abbiamo trattato finora, altra applicazione delle rappresentazioni grafiche è il disegno della famiglia, in cui più di un membro della famiglia partecipa alla seduta. Il disegno della famiglia permette al terapeuta di raccogliere molte informazioni sotto forma di strutture di fondo risorse interiori. Il disegno con la famiglia può anche servire a creare un equilibrio interna della famiglia, in cui ciascuno è consciamente legato condividendo il momento in cui si crea il disegno. Un altro mezzo per la creazione originale di metafore plurisensoriali terapeutiche è il gioco delle risorse. Questo gioco è creato singolarmente da ciascun bambino, e viene ricreato ogni volta che lo si gioca. Le informazioni che il bambino dà sul proprio mondo sono da lui stesso trasformate in simboli (metafore), che a sua insaputa rappresentano il suo problema, i suoi blocchi coscienti e inconsci, e le sue risorse interiori. Il primo punto per costruire il gioco delle risorse consiste nel fornire il bambino di un grande foglio di carta da disegno, matite e pennarelli. Poi gli si chiede di disegnare in un angolo del foglio qualcosa, che vorrebbe avere nella vita, qualcosa di molto importante. Gli si fanno chiudere gli occhi e gli si dice di immaginare una mappa che possa guidare al raggiungimento dell’obiettivo. Quando il bambino ha ben chiara, nella sua mente, la mappa gli si chiede di disegnarla. Mentre disegna la mappa gli si chiede di inserire tre ostacoli che impediscono il raggiungimento degli obiettivi. Poi, si dice al piccolo di creare una risorsa specifica da contrapporre a ciascun ostacolo. Le risorse verranno disegnate su cartoncini, così da nominarle carte delle risorse. Si continua facendo disegnare al bambino un certo numero di caselle a piacere compreso la partenza e l’arrivo e creando delle pedine con cose che più preferisce. Infine, il terapeuta e il bambino disegnano sul foglio di carta un cerchio del diametro da dividere in parti uguali, come fette di una torta. In ogni fetta il bambino disegna una delle figure già poste, in dimensioni minori, sulle carte delle risorse, e le contrassegna con un numero dall’uno al sei. I numeri corrispondono a quelli del dado con cui si gioca. I giocatori sono il terapeuta e il bambino, che iniziano a giocare mettendo le loro pedine simboliche sul personaggio/oggetto preferito. In seguito, il bambino lancia il dado e sposta la pedina in base al valore del numero uscito. Qualora si ritrova su un ostacolo ripete il lancio finche il numero non coincide con quello da cui è contrassegnata la figura della risorsa riportata sulla carta grande. A questo punto gli viene consegnata la carta delle risorse piccola corrispondente, che diventa un pass per proseguire nel movimento della pedina. Si prosegue così finché il piccolo non raggiunge l’obiettivo. E importante sottolineare che la partita finisce solo quando il bambino raggiunge l’obiettivo.
[1] Bettelheim B. “Il mondo incantato: uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe”, Feltrinelli, Milano,1986